L’Area Studi Mediobanca ha presentato il nuovo report sul settore dell’acqua confezionata che aggrega i dati economico-finanziari, per il triennio 2017-2019, di 82 aziende nazionali con fatturato 2019 superiore al milione di euro.
Italia: 9° mercato mondiale e 3° per esportazioni, con un prezzo al litro tra i più bassi
Il mercato mondiale dell’acqua confezionata è stimato in oltre 387 miliardi di litri, per un valore al dettaglio pari a 155 miliardi di euro. Il prezzo medio al litro è attorno a 40 centesimi di euro, che scende a 30 centesimi nella UE e a 20 centesimi in Italia. In base alle quantità, il consumo mondiale è cresciuto nell’ultimo ventennio al 7,4% annuo e le previsioni per il prossimo quinquennio indicano ritmi analoghi, tra il 7% e l’8%. In Italia, il comparto dovrebbe avere chiuso il 2020 in stabilità. La Cina rappresenta il maggiore mercato con 103,1 miliardi di litri per 26,1€ miliardi al dettaglio, un primato incontrastato dal 2009 quando la Cina ha superato e infine doppiato gli Usa che oggi valgono 50 miliardi di litri e 34,6 miliardi di dollari. Dal 2000, il mercato cinese è cresciuto del 13,7% all’anno, quello statunitense del 5,8%. Altri Paesi importanti e dinamici sono: il Messico (+5,9%), l’Indonesia (+11,4%), l’India (+13,7%), il Brasile (+6,9%) e la Tailandia (+6,8%). Il consumo individuale mondiale è pari a 50,4 litri, ma circa metà della popolazione segna consumi pari a 17,7 litri pro-capite. L’Italia con i suoi 13,5 miliardi di litri è il nono mercato mondiale, sostenuto dalla ricchezza delle fonti (oltre 300) e da elevati consumi per abitante: 222 litri, secondi al mondo dietro al Messico. Il nostro Paese vanta altri primati: è il secondo esportatore di acqua confezionata minerale della UE con 605 milioni di euro, alle spalle della Francia (761€ milioni), e il terzo mondiale preceduto anche dalla Cina. Sempre nella UE, l’Italia è di gran lunga il primo esportatore di acqua gasata con 440€ milioni, quasi il 50% del totale dell’Unione. Da ultimo, in Italia l’acqua minerale rappresenta il 76,2% del consumo di tutte le bevande analcoliche, la percentuale più alta dell’Unione che riporta un valore medio pari al 45,8%. Il budget familiare (3 persone) annuo è attorno ai 130 euro. In Italia, rispetto a un ipotetico prezzo di 30 centesimi allo scaffale per una bottiglia da 1,5 litri, il 45% è rappresentato dalla bottiglia finita e piena, il 37% da altri oneri, tra cui il trasporto e il margine del retailer, e dall’Iva per la quota residua.
I mercati maturi tra innovazione e sostenibilità
Il mercato dell’UE vale 63,7 miliardi di litri pari al 16,5% del totale mondiale, per un valore al dettaglio stimato in 19,1 miliardi di euro. Il consumo complessivo dal 2012 è cresciuto del 2,3% all’anno (quello mondiale del 7,8%) e risulta composto per il 63% da acqua liscia e per il resto da acqua gasata. I consumi sono pari a 142 litri per abitante, ma sono molto bassi nei Paesi del Nord (Regno Unito: 37,4 litri, Paesi Bassi: 27,9 litri, Svezia: 10 litri, Finlandia: 17 litri, Norvegia: 9,3 litri), sia per fattori climatici che per il maggiore ricorso all’acqua del rubinetto. Parte della crescita dei consumi di acqua confezionata è dipesa anche dalla stagnazione dei soft drink, sovente associati a stili alimentari non salutari, tanto che la loro componente a basso o nullo contenuto calorico è aumentata dal 21% al 27% del totale. Negli Stati Uniti, il consumo di acqua ha superato quello di soft drink nel 2017, in Italia il rapporto tra le due grandezze è di 3,2 a 1. Il mercato dell’acqua confezionata è, tuttavia, maturo in molti Paesi, specialmente in Italia dove i consumi individuali sono molto alti; più dinamici i mercati del Nord e dell’Est Europa: Polonia (+4,9%), UK (+5,7%), Romania (+4,4%), Bulgaria (+5,9%), Paesi Bassi (+4%), Irlanda (+9,9%), Lituania (+4,6%), Lettonia (+4,5%), Finlandia (+5,1%) ed Estonia (+5,6%). In Germania domina l’acqua frizzante (74,4% del totale), mentre in Italia la liscia. I produttori cercano di agire sull’innovazione attraverso acque aromatizzate, arricchite o funzionali (per lo sport, per lo studio, per l’estetica), prodotti per l’infanzia (kid-friendly), packaging accattivante e naturalmente ecologico, differenziazione nella fascia premium con acque di provenienza o composizione minerale esclusiva. Con riferimento al mercato statunitense, si tratta di segmenti previsti crescere tra il 6% e il 9%. Le bottiglie in PET, che in Italia rappresentano l’82% del mercato, possono rappresentare un’importante componente del costo finale dell’acqua, anche in relazione alle oscillazioni di prezzo della materia prima che attualmente quota oltre 1.150 euro a tonnellata (770 euro nel 2020). La riduzione del peso della bottiglia è quindi un obiettivo primario dell’industria, anche per ridurre l’impatto ambientale, considerando che in Italia il 46% delle bottiglie è avviato a riciclo, lontano dai livelli dei Paesi più virtuosi come la Germania (95%) ove vige un sistema di vuoto a rendere ancora assente nel nostro Paese. L’uso del PET riciclato (R-PET) è comunque atteso in aumento in Italia, dopo che un recente cambio normativo ha rimosso il limite del 50% di sua presenza nelle bottiglie in commercio. L’alternativa è rappresentata dalle bottiglie biodegradabili in Bio-PET di origine vegetale, purché non origini da materie prime destinate all’uso alimentare.
Andamento e margini dell’industria italiana
In Italia, operano 82 aziende per un fatturato aggregato nel 2019 pari a 3,8 miliardi di euro. I maggiori operatori vendono anche soft drink (bibite gasate, succhi, tè freddo, aperitivi analcolici). I cinque maggiori operatori rappresentano il 65,8% del totale. Le imprese a controllo straniero sono sei, per un fatturato di 1,5 miliardi di euro. L’area del Centro, Sud e Isole accoglie il maggiore numero di imprese (32), ma il maggiore fatturato fa capo alle 23 imprese del Nord Ovest (circa 2€ miliardi). Nel triennio 2017-2019 le vendite aggregate sono cresciute del 3,9% medio annuo, quelle domestiche del 2,9%, quelle all’estero del 6%. Complessivamente la quota di export vale il 32,7% del fatturato, per un valore di 1,3 miliardi di euro, lasciando al fatturato domestico i rimanenti 2,5 miliardi di euro. Le imprese di maggiori dimensioni (48%) e quelle a controllo straniero (55,5%) hanno quote di vendite all’estero rilevanti, mentre per quelle italiane di medie o piccole dimensioni il mercato straniero appare poco rilevante (tra il 2% e il 6% delle vendite). L’Ebit margin del comparto è pari nel 2019 al 9,6%, in evidente riduzione dal 13% del 2017. Il Roi appare consistente nel 2019: 14,9%, ma anche in questo caso in contrazione sul 2017 (20,9%), così accade per il Roe che si attesta nel 2019 al 20,3% dal 26,9% del 2017. La redditività appare superiore per i gruppi maggiori (Ebit margin all’11,4% nel 2019) e per quelli a casa madre estera (10,7%). Risultano attardate le piccole (6,6%) e le medie imprese (8,2%). Anche la produttività è in riduzione: dai 117,7 mila euro del 2017 ai 103,2 mila euro del 2019, con crescente incidenza del costo del lavoro sulla produttività passata dal 44,3% al 51,2%. Il comparto segna tassi d’investimento rilevanti: si tratta di consistenze che oscillano nel triennio tra il 6,5% e il 7% del fatturato, tanto che l’età media contabile dei cespiti è calata dai 17,2 anni del 2017 ai 15,8 del 2019. La struttura finanziaria è solida: il rapporto tra patrimonio netto e debiti finanziari si colloca al 63,2% nel 2019, con disponibilità liquide che a loro volta rappresentano il 54% dei debiti finanziari, per una consistenza pari a 528 milioni di euro a fine periodo. Tra il 2017 e il 2019 il settore ha cumulato utili per 806 milioni di euro, pari in media al 7,3% del fatturato.