
In occasione di un incontro dell’Associazione Americana per l’Avanzamento della Scienza di Boston (Usa), un gruppo internazionale di scienziati ha discusso del tema “Perché una caloria non è una caloria e perché questo è importante per la dieta umana”.
I ricercatori riferiscono che l’energia consumata, fornita dalla dieta umana, è ampiamente sottostimata poiché si ignorano caratteristiche importanti del processo digestivo, come l’attività della flora intestinale, la biodisponibilità e il costo metabolico della digestione degli alimenti. I ricercatori hanno constatato che questo potrebbe portare a errori di entità fino al 30%. In particolare, Richard Wrangham dell’Università di Harvard afferma che è tempo che un gruppo di studio ad alto livello lavori al miglioramento della qualità delle informazioni in etichetta sul reale valore energetico degli alimenti, dal momento che l’attuale sistema Atwater è ormai obsoleto. Cibi ricchi di fibre come il muesli contengono più calorie di quanto indicato, mentre l’attuale sistema non tiene conto delle calorie della fibra. Una tazza media di cereali con crusca contiene in media 20 calorie in più, mentre per il muesli bisogna aggiungerne altre 12.
Geoffrey Livesey, nutrizionista britannico anch’egli parte di questo gruppo di studiosi, sostiene che in genere il sistema utilizza la scomposizione in fattori nella conversione in calorie, vale a dire che un grammo di proteine o carboidrati fornisce 4 calorie, contro le 9 di un grammo di grassi. Questo sistema funziona per gli alimenti altamente digeribili, ma parte dall’assunto che la fibra non abbia valore energetico per il nostro organismo. La fibra usata, infatti, è principalmente costituita da cellulosa, che è difficile da digerire e attraversa l’intestino praticamente immutata. Tuttavia, oggi la fibra contiene anche pectine e fibra solubile che vengono scisse nell’intestino crasso in composti che forniscono energia. Si ritiene che ogni grammo di fibra produca circa due calorie. Wrangham afferma che attualmente il sistema di Atwater porta ad una sistematica sovrastima del valore energetico del cibo, derivante da alimenti relativamente poco trasformati. Sarebbe invece possibile ridurre l’apporto calorico consumando cibi crudi, piuttosto che cotti, poiché essi sono meno digeribili e richiedono più energia per essere scomposti.
Klaus Englyst di Southampton si è invece soffermato sulla biodisponibilità dei carboidrati, osservando che la capacità di caratterizzare in dettaglio quelli derivati dall’alimentazione e di tenerne in considerazione la biodisponibilità, come la velocità e il grado di digeribilità dell’amido, fornisce gli strumenti necessari ad una migliore comprensione dell’impatto della dieta sul metabolismo e la salute.
Infine, Rachel N. Carmody, della Harvard University, sostiene che i valori energetici spesso riportati nella letteratura scientifica o sulle etichette nutrizionali suggerirebbero che la trasformazione dei prodotti alimentari abbia un limitato effetto sulle calorie, mentre esperimenti controllati effettuati nel suo laboratorio utilizzando modelli animali hanno rivelato che i trattamenti termici e/o non-termici contribuirebbero in modo importante al valore energetico di alimenti di origine vegetale e animale.
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