L’ISAAA – ente internazionale per l’acquisizione delle domande di applicazioni agro-biotecnologiche, un ente no profit sostenuto da istituti pubblici e privati – ha divulgato il suo rapporto annuale sulla situazione delle colture geneticamente modificate coltivate e commercializzate nel 2013 (ISAAA Brief 46 – Global Status of Commercialized Biotech/GM Crops: 2013, a cura di Clives James).
Dal rapporto risulta che nell’arco del 2013 sono stati oltre 18 milioni i coltivatori in 27 nazioni che hanno seminato raccolti biotech, portando così ad un aumento delle superfici destinate al biotech pari al 3% (ovvero 5 milioni di ettari in più). L’ettaraggio globale è aumentato dai 1,7 milioni del 1996 agli oltre 175 milioni di ettari registrati nel 2013 e sono sempre gli Stati Uniti che continuano a detenere il primato delle superfici investite, raggiungendo la cifra di 70,1 milioni di ettari (ovvero il 40% dell’ettaraggio mondiale).
Oltre il 90% dei coltivatori (ovvero 16,5 milioni) che hanno scelto il biotech hanno attività di piccole dimensioni e con risorse scarse. Guardando invece alle Nazioni, sono solo 8 quelle industrializzate che hanno optato per il biotech, mentre 19 fanno invece parte dei Paesi in via di sviluppo. Per il secondo anno, infatti, risulta che sono proprio i Paesi in via di sviluppo ad aver investito il maggior numero di ettari, superando le superfici totalizzate della nazioni industrializzate. Dai dati, risulta inoltre che quasi il 100% dei coltivatori che hanno provato le varietà biotech, continuano poi ad adottarle anno dopo anno.
La ricerca sulle varietà in grado di resistere alla siccità – tema molto attuale e che desta preoccupazioni a livello mondiale – ha dato vita al primo mais tollerante che è stato seminato da circa 2.000 coltivatori statunitensi della Corn Belt con l’investimento di circa 50.000 ettari biotech. In Indonesia, invece, è stata sviluppata la prima varietà biotech di canna da zucchero resistente alla siccità, che dovrebbe già essere commercializzata quest’anno.
Tornando invece al mais, la tecnologia biotech della tolleranza alla siccità è stata donata all’Africa grazie al progetto Water Efficient Maize for Africa (una partnership Monsanto e Basf, finanziata dalle fondazioni Gates e Buffet) e si prevede che le prime semine avverranno nel 2017.
Il rapporto prende in esame tutte le varietà biotech, che spaziano dalle coltivazioni ad uso alimentare a quelle non, come ad esempio il cotone. Per quel che concerne i raccolti ad uso alimentare, viene sottolineato il contributo delle colture biotech alla garanzia della sicurezza alimentare intesa come accessibilità e sostenibilità degli alimenti. Dal 1996 al 2012 si sono difatti registrati i seguenti miglioramenti e vantaggi: diminuzione dei costi di produzione ed aumento della produttività (stimata a 377 milioni di t) con un valore di 117 miliardi di dollari; benefici ambientali ottenuti grazie all’eliminazione dell’uso di 497 milioni di kg di pesticidi; riduzione delle emissioni di CO2 di 27 miliardi di kg nel solo 2012; conservazione della biodiversità avendo evitato che 123 milioni di ettari di terra venissero messi a coltivazione nell’arco del periodo 1996/2012; alleviamento dalla povertà per 16,5 milioni di piccoli coltivatori e famiglie coltivatrici, per un totale di oltre 65 milioni di persone.
Il rapporto prende anche in esame la situazione nell’Unione europea, dove la modesta superficie investita a biotech risulta in crescita del 15% fra il 2012 ed il 2013: sono stati 5 i Paesi Ue ad aver coltivato un totale di 148.013 ettari di mais gm. La Spagna è la prima nazione, con un record di 136.962 ettari di mais biotech (+18 rispetto al 2012), mentre la Romania rimane assestata sugli stessi valori del 2012 ed il Portogallo, la Repubblica Ceca e quella Slovacca hanno leggermente diminuito le superfici.